Emozioni capresi d'inverno
FRANCO VACCARI
Oggi, come in tanti altri campi, anche con la Fotografia ci troviamo in una situazione di paradosso dove oggetto e soggetto, autore e spettatore, opera e interpretazione si scambiano le parti cosi che, per orientarci, risultano inservibili le consuete strumentazioni concettuali.
Forse, nel caso che stiamo analizzando, può essere utile estendere il concetto duchampiano di ready-made fino a vedere le foto della Severi come ready-made stilistici.
Fatta questa premessa possiamo abbandonarci all'indubbio piacere che queste immagini ci procurano. L'affievolimento della gabbia prospettica, la scomparsa della durezza dei particolari, il compenetrarsi delle forme e dei colori, l'attenuarsi della presenza dell'autore con la sua invasiva smania di protagonismo, liberano un campo di sensazioni di una freschezza del tutto insolita.
E come contemplare il mondo all'alba, quando, dopo il suo riposo notturno, tutto ci appare intatto, pieno di una nuova energia e i nostri sensi si aprono alle più sottili suggestioni. Le stradine di Capri diventano luoghi di avventura dove nel gioco delle luci e delle ombre prendono corpo i fantasmi dei nostri desideri mentre il verde ci avvolge.
Se si vuole vedere bene non bisogna fissare troppo direttamente. Quello che ci emoziona è sempre qualcosa che è stato sorpreso con la coda dell'occhio. E poi è successo un fatto notevole: la Capri, quella imbalsamata nei suoi stucchevoli cliches, consumata dai troppi sguardi e dalle troppe cartoline, è stata disincrostata e restituita, finalmente, ad una nuova fragile autenticità.